
21 Novembre 2022
L’arte ottica conquista il Bo: la spirale di Marina Apollonio a Padova
A cura di Barbara Luciana Cenere
Un’opera spettacolare ed emblematica
Uno spazio dinamico e fluttuante, un’opera d’arte in grado di accogliere fisicamente lo spettatore.
Si tratta dello Spazio ad Attivazione Cinetica 6b di Marina Apollonio che, collocato nel cortile antico di Palazzo Bo, è parte integrante della mostra “L’Occhio in Gioco” a Palazzo del Monte di Pietà a Padova. L’opera, dialogando con quelle interne all’esposizione, offre al visitatore una panoramica dettagliata della ricerca condotta dall’artista. Infatti, questo Spazio, spostando il problema della percezione dalla vista al corpo, permette ad Apollonio di immettersi in uno degli ambiti di ricerca più dibattuti dell’arte optical, cinetica e/o programmata, quello della produzione di opere ambientali.
Marina Apollonio e il movimento ottico cinetico
Marina Apollonio nasce a Trieste nel 1940. Dopo gli studi superiori, si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia dove segue le lezioni di pittura con Giuseppe Santomaso e si dedica alla progettazione di industrial e graphic design e a soluzioni di architettura per interni. Nel 1965 aderisce al movimento internazionale Nuova Tendenza e partecipa alla rassegna “Nova Tendencija 3” di Zagabria, collocandosi all’interno del movimento ottico cinetico internazionale. Entra quindi in contatto con il Gruppo N di Padova e il Gruppo T di Milano con i quali condivide gli ideali di ricerca. Gli artisti degli anni Sessanta, infatti, sono mossi dall’esigenza di superare “i processi automatici e gestuali tipici della congiuntura informale”, per recuperare i valori concreti di un’arte che trova nelle avanguardie storiche e nei principi della Gestalt un punto saldo di riferimento. Marina Apollonio approda così, come scrive Giuseppe Virelli in catalogo, ad un’arte “oggettiva” e depersonalizzata, basata sull’utilizzo di una forma primaria con lo “scopo di studiarne le possibilità strutturali per renderla attiva cercando il massimo risultato con la massima economia”.
Dalla parete allo spazio
Il passaggio dalla parete allo spazio, tuttavia, non è stato immediato. “L’occhio in Gioco” presenta numerose opere che ci restituiscono l’evoluzione del modus operandi di Apollonio. Basti pensare ai Senza Titolo o alla Struttura Grafica dei primi anni Sessanta. Si tratta di semplici disegni su carta dove spiccano figure geometriche rese dall’accostamento di bianco e nero che, ordinate secondo uno schema preciso, tradiscono un senso di rilievo grazie all’illusione prospettica che si genera. L’uscita dai confini bidimensionali della tela, tuttavia, già in questi anni inizia a farsi sentire. Da queste sperimentazioni si arriva ai Rilievi: vere e proprie meraviglie cangianti attualmente ammirabili anche presso il Padiglione Centrale della Biennale di Venezia. Qui, la presenza di una trama in alluminio montata su una lastra di masonite colorata offre un dinamismo più maturo rispetto ai primi lavori su carta, mostrando già una timida tensione nei confronti della tridimensionalità.
Marina Apollonio, Senza titolo, 1963 [opere omonime]
Le Dinamiche Circolari
È questo il terreno su cui sbocciano, tra il 1964 e il 1968, le Dinamiche Circolari dove il movimento dei cerchi, eccentrici o concentrici, si palesa a livello virtuale; la loro precisione geometrica fa sì che l’occhio dello spettatore percepisca il quadro non più come superficie, bensì come una realtà a più dimensioni. Successivamente si passa a delle operazioni, molto simili da un punto di vista estetico e psicopercettivo, la cui insita dinamicità viene ulteriormente sollecitata dalla possibilità di un’attivazione manuale da parte dell’utente. Tra queste si ha l’esempio della Dinamica 6Z dove la presenza di un perno centrale ne consente la rotazione. Il movimento infuso a queste opere fa sì che la resa percettiva del dato bidimensionale, già esperibile in mancanza di moto, si traduca in uno spazio tridimensionale. Tali lavori chiariscono perfettamente la convergenza tra arte e scienza. In mostra, uno spunto interessante in relazione a questi è il parallelismo offerto dalle illusioni stereocinetiche.
Marina Apollonio, Dinamica circolare NASTRO N ø 66, 1968
In mostra, uno spunto interessante in relazione a questi è il parallelismo offerto dalle illusioni stereocinetiche. Come spiega il catalogo di mostra, il primo ad offrire, nel 1924, una trattazione completa di questo fenomeno è Cesare Musatti, allievo di Vittorio Benussi e suo successore alla cattedra di Psicologia sperimentale e alla direzione dell’Istituto di Psicologia a Padova, che le definisce “trasformazioni percettive di un complesso di figure aderenti ad un piano e in movimento relativo, reale o apparente su quel piano, in un complesso di figure disposte in profondità, le quali possono: o essere ancora in movimento relativo fra di loro, oppure costituire un tutto solido che si muove soltanto relativamente all’osservatore”. Nello stesso periodo, inoltre, Marcel Duchamp crea i Rotoreliefs: “dischi raffiguranti cerchi o spirali che, quando posti in lento movimento, producono una vivace impressione di profondità”.
Lo Spazio ad Attivazione Cinetica 6b
Ed ecco che arriviamo alla chiusura del cerchio. Se già nelle Dinamiche Circolari il visitatore è invitato ad attivarne il meccanismo, con lo Spazio ad Attivazione Cinetica 6b le potenzialità di questa inclusione vengono portate alle estreme conseguenze. È il 1967 e a Foligno si tiene la mostra “Lo Spazio dell’Immagine” dove, per la prima volta, vengono presentate al pubblico opere note con il nome di Ambienti. Si tratta di stanze perlopiù chiuse, o porzioni di spazio, che invitano l’utente all’interazione, dando il là a precocissime pratiche immersive. In questa occasione, come si vede in mostra, Alberto Biasi presenta Spazio-Oggetto Ellebi mentre gli altri componenti del Gruppo N, l’Ambiente Struttura S.C.S.C.
Alberto Biasi, Spazio-Oggetto Ellebi, 1967
Nello stesso anno Marina Apollonio concepisce il progetto di un adattamento, su scala architettonica, di una delle sue Dinamiche munita di un impianto rotante in grado di sorreggere il fruitore. I tempi sicuramente non erano maturi e “i colleghi di Foligno” avevano avuto modo di tastare il dissapore della critica. Così lo Spazio ad Attivazione Cinetica 6b viene concretizzato per la prima volta, a distanza di cinquant’anni, in occasione della mostra “Op Art” alla Schirn Kunsthalle di Francoforte nel 2007. Qui viene realizzata una pavimentazione circolare attivata meccanicamente. La posizione transassiale delle linee permette al visitatore di percepire uno spazio che si espande e si restringe simultaneamente. Nelle successive esposizioni tra cui “L’occhio in Gioco” l’opera è realizzata mediante l’installazione su pavimento di una superficie vinilica che genera, mediante un effetto ottico, la medesima dinamica percettiva. Lo spettatore arriva così a provare, a livello corporeo, quel disequilibrio che nelle opere a parete era prerogativa dell’occhio.