
23 Dicembre 2022
Le ricerche sulla percezione di Dadamaino in mostra a Padova
A cura di Barbara Luciana Cenere
Gli studi di Medicina e Brera
Nel numeroso corpus di opere della mostra “L’Occhio in Gioco” a Palazzo del Monte di Pietà a Padova, non potevano mancare le operazioni di Emilia Eduarda Maino, meglio nota con lo pseudonimo Dadamaino. Queste regalano al visitatore l’istantanea di una poliedrica ricerca artistica, i cui esiti sono da considerarsi parte integrante delle ricerche geometrico-percettive dell’avanguardia artistica del dopoguerra.
Nata a Milano nel 1930, dopo la maturità classica frequenta la Scuola d’Arte Applicata all’Industria del Castello Sforzesco e parallelamente si iscrive alla Facoltà di Medicina. Dadamaino non eserciterà mai la professione medica indirizzandosi, invece, negli anni Cinquanta, alla pittura, che avvicina da autodidatta. Come moltissimi artisti della Milano del boom economico, frequenta il quartiere Brera e in particolare il Bar Jamaica, dove si tengono vere e proprie discussioni finalizzate a ridefinire il ruolo dell’arte in un panorama socioculturale attraversato da numerosi cambiamenti. Un periodo effervescente che, come spiega il curatore della mostra Luca Massimo Barbero, è caratterizzato da un “rapidissimo allontanamento dalle eccedenze materiche e segniche dell’informale” dove “prendono avvio alcune esperienze che, se per gli esordi sono da collegarsi direttamente alle istanze di un rinnovato superamento del concetto di pittura e superficie, aprono alle nuove stagioni degli anni sessanta e dei decenni successivi”.
L’azzeramento dell’arte e gli studi sul movimento
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, partecipa alle prime collettive e stringe amicizia con Piero Manzoni; trait de union con Lucio Fontana. L’incontro con i Concetti Spaziali dell’artista italoargentino sarà estremamente significativo; da qui trae, infatti, l’ispirazione per realizzare i Volumi. Tramite queste tele recanti all’interno grandi squarci ovoidali “tocca la concezione di azzeramento dell’arte, in accordo con le coeve ricerche di Piero Manzoni ed Enrico Castellani”. Infatti, nello stesso anno, Dadamaino, in linea con la poetica di questi – che mirava ad una disconnessione netta dalle precedenti esperienze artistiche – aderisce al gruppo d’avanguardia Azimuth e, presso l’omonima galleria (senza h), espone in diverse occasioni, entrando in contatto con i protagonisti delle maggiori tendenze degli anni Sessanta. Tra i tanti, i tedeschi del Gruppo Zero, i milanesi del Gruppo T, i padovani del Gruppo N e i francesi del GRAV.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, partecipa alle prime collettive e stringe amicizia con Piero Manzoni; trait de union con Lucio Fontana. L’incontro con i Concetti Spaziali dell’artista italoargentino sarà estremamente significativo; da qui trae, infatti, l’ispirazione per realizzare i Volumi. Tramite queste tele recanti all’interno grandi squarci ovoidali “tocca la concezione di azzeramento dell’arte, in accordo con le coeve ricerche di Piero Manzoni ed Enrico Castellani”. Infatti, nello stesso anno, Dadamaino, in linea con la poetica di questi – che mirava ad una disconnessione netta dalle precedenti esperienze artistiche – aderisce al gruppo d’avanguardia Azimuth e, presso l’omonima galleria (senza h), espone in diverse occasioni, entrando in contatto con i protagonisti delle maggiori tendenze degli anni Sessanta. Tra i tanti, i tedeschi del Gruppo Zero, i milanesi del Gruppo T, i padovani del Gruppo N e i francesi del GRAV.
Dadamaino, Volume a moduli sfasati (1960) e Oggetto visivo instabile (1963)
Il dinamismo del colore
Le opere in esposizione mettono in evidenza, quindi, un percorso artistico che, pur fedele alla propria ricerca e perennemente in dialogo con gli altri artisti dell’avanguardia ottico-cinetica, non ha mai smesso di sperimentare materiali diversi e linguaggi nuovi.
A tal proposito, nella seconda metà degli anni Sessanta il colore torna ad essere oggetto di indagine e di studio. In mostra, spicca uno dei risultati della Ricerca sul colore che l’artista inizia ad indagare nel 1966. In un esempio del 1967, è possibile vedere delle tavolette di formato ridotto, divise verticalmente in due parti, dove vengono esplorate, grazie ad uno schema matematico che ne governa la disposizione, alcune gradazioni cromatiche.
Dadamaino, La ricerca del colore, 1967
Qui le interazioni tra il rosso, che è costante, e altri colori variati sequenzialmente, conferiscono all’opera un effetto ottico-dinamico. Dadamaino si allontana, quindi, dai materiali industriali dei primi lavori per rivolgersi – nuovamente – alla pittura e, più nello specifico, all’acrilico. In questo contesto vengono studiati gli effetti dati dai diversi accostamenti ed è quindi interessante vedere come si crei, nel visitatore, un collegamento con i lavori presenti in mostra che rivelano, ad esempio, i risultati delle prime teorie sui colori di Goethe. Inoltre, l’artista sembra inserirsi in quei dialoghi teorici sulla ricerca del colore – già noti negli anni Sessanta – rintracciabili in Arte del Colore di Johannes Itten o in Interazione del Colore di Josef Albers.
Il segno: dalla mente al corpo
Negli anni Settanta, Dadamaino abbraccia un’ulteriore sperimentazione, quella segnica. Abbandona ogni forma, colore e mezzo per lasciare spazio a dei segni semplicissimi, quasi impercettibili, che attraversano il foglio di carta. Il segno diventa la struttura della mente, una scrittura ancestrale fatta di linee, corpose e calcate ma anche lievi e guizzanti, che rispondono alla pressione della mano e allo slancio emotivo che ne contraddistingue la genesi. Questo impulso troverà sfogo in Inconscio razionale (1975), L’H muta scritta sulla sabbia (1976) Alfabeto della mente (1977), I fatti della Vita (1978-1982), Costellazioni (1981-87). Una menzione doverosa è da porgere al ciclo il Movimento delle cose su cui l’autrice inizia a lavorare verso la fine degli anni Ottanta e che è fondamentale per definire l’opera Sein un Zeit; entrambi presenti in mostra.
Si tratta di un’operazione realizzata su supporti trasparenti in poliestere, attraversati da una serie di trattini collocati, senza un ordine definito, lungo tutta la superfice. L’unione di queste esili tracce offre immagini che sembrano rievocare delle forme in divenire. Arriviamo quindi alla chiusura di un altro cerchio. L’ottava sala della mostra “L’Occhio in Gioco”, è un vero e proprio spazio ambientale dedicato a Sein un Zeit, l’ultimo ciclo realizzato da Dadamaino tra il 1996 e il 2003. L’opera è esplicitata da una serie di rotoli che vengono liberamente lasciati cadere sul pavimento, dove gli interventi sulla superficie restituiscono un intreccio di flussi, in grado di invitare chi osserva a interpretarne il dinamismo.
La parte conclusiva dell’esposizione, mette quindi al centro il corpo dell’utente nella sua totalità. Se, fino a qui, è sollecitato visivamente dal dinamismo offerto dalle opere a parete, ora viene responsabilizzato e coinvolto a livello corporeo in un’esperienza fisica, ottica e pulsante dove il segno diventa una presenza tangibile.