
21 Ottobre 2022
Giacomo Balla a Padova: tra luce e movimento
A cura di Barbara Luciana Cenere
Giacomo Balla dalla tradizione al Futurismo
Una delle presenze più significative, all’interno de “L’occhio in gioco” a Palazzo del Monte di Pietà a Padova, è senz’altro quella di Giacomo Balla. Le opere in mostra, realizzate nel periodo di adesione dell’artista al Futurismo, si inseriscono con spiccata coerenza all’interno dei vari nuclei espositivi, mettendo in risalto aspetti quali il colore, la luce, il movimento e le geometrie.
Balla nasce a Torino nel 1871 e studia all’Accademia Albertina, dove entra in contatto con un ambiente fortemente legato alla pittura descrittiva di tipo verista. Nel 1895 si trasferisce a Roma e vi rimane fino alla morte, nel 1958. Nel corso della sua vita abbraccia diverse correnti, dal Divisionismo delle opere giovanili, al Futurismo pre e post-bellico, fino al realismo fotografico degli ultimi anni.
Nel 1910 firma, assieme a Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Gino Severini e Luigi Russolo, il Manifesto dei pittori futuristi e il Manifesto tecnico della pittura futurista. Si tratta di un movimento che nasce – come sostiene Mario De Micheli – “da un coacervo di idee e di istinti, dentro il quale si esprimevano alcune esigenze reali dell’epoca nuova; il bisogno di essere moderni, di cogliere la verità di una nuova vita trasformata dall’era della tecnica”.
Umberto Boccioni, Bozzetto per La città sale, 1910
Bambina che corre sul balcone
Balla, pur essendo il più anziano dei colleghi, aderisce con fiducia al movimento e nelle sue tele, fino ad allora fedeli alla matrice verista, iniziano ad imporsi i valori del colore e del movimento, imprescindibili connotati della modernità urbana. Questi, come riporta in catalogo Francesca Pola, sono “sintesi ed emblema di miti contemporanei come quello della velocità, dell’elettricità, del volo, della percezione simultanea nutrita delle recenti prospettive offerte dalla visione fotografica e cinematografica”. Nel “periodo futurista”, Balla indaga, con occhio analitico, il tema del movimento, per il quale elabora una soluzione quasi meccanica che deve molto ai coevi studi condotti in ambito fotografico.
Un esempio di questa propensione è sicuramente Bambina che corre sul balcone (foto di copertina n.d.r.), dove l’artista abbandona il linguaggio realistico, per abbracciare una ricerca artistica d’avanguardia che lo inserisce a pieno titolo nei binari del futurismo. Proprio in quest’opera fa in modo che la ricerca cromatico-luminosa e la visione fotodinamica si fondano in un unicum. Ogni riferimento al dato reale lascia spazio alla scomposizione meccanica del movimento, creando un dinamismo nuovo che scaturisce dagli accostamenti cromatici scomposti e ripetuti in una sequenza che sembra oltrepassare i limiti della tela.
Inizia quindi a serpeggiare un concetto di interazione dove, implicitamente, l’osservatore deve allontanarsi dall’opera per cogliere l’insieme compositivo e non la frammentazione. Un escamotage non tanto diverso da quello dei flip books, dove è lo scorrere del nostro occhio sulla materia pittorica a restituirci l’immagine della corsa.
Balla, Muybridge, Marey e Boccioni
Fondamentale, a questo punto, è ricordare come gli stessi temi siano indagati, già alla fine dell’Ottocento, dalla fotografia. Accanto al dipinto di Balla, infatti, sono esposti numerosi esempi riconducibili agli studi sulla cronofotografia condotti da Eadweard Muybridge ed Etienne Jules Marey, l’inventore del fucile fotografico.
Eadward Muybridge, Animal Locomotion, 1887
Inoltre, confrontando il dinamismo cui approda Balla con le opere di Boccioni esposte nella medesima sala, il visitatore potrà facilmente rendersi conto di come gli artisti arrivino a scelte tematiche e stilistiche affini ma allo stesso tempo differenti, pur perseguendo simili intenti.
Sarà ad esempio evidente come in Boccioni sia sempre ravvisabile un centro da cui si diramano le linee forza (Gli uomini o il bozzetto della Città che sale) mentre per Balla il movimento tende a muoversi in un policentrismo dove i gesti si ripetono con rigore geometrico. Un altro spunto è quello offerto dal rapporto tra la forza in potenza e la forza in atto, esplicitato dal dialogo immaginario tra Linee-Forza del pugno di Boccioni di Balla, il Pugilatore Etiope di Gaetano Orsolini, Figure Skating di Gjon Mili e Gussie Moran e Tennis Serve di Harold Edgerton.
Giacomo Balla, Linee-forza del pugno di Boccioni, 1920
Le sperimentazioni sulla luce e gli esiti astratti
Il percorso espositivo è quindi un concentrato di prodotti artistici in grado di ingannare l’occhio ma allo stesso tempo di allenarlo al confronto e all’interpretazione. Altrettanto interessante è l’indagine sulla luce che fa approdare l’artista a risultati esplicitamente astratti. Basti pensare alle Compenetrazioni Iridescenti, dove la luce si traduce in vere e proprie schegge luminose date dalla scomposizione e dissoluzione geometrica dei fasci che la compongono. Si tratta di una serie di opere che studiano i giochi di luce e di colore così come l’occhio umano, invitato a giocare, li percepisce. Le compenetrazioni, documentando una ricerca sul colore, rappresentano il tentativo sperimentale di rendere visibile una parte invisibile del cosmo, altro tema che, del resto, ricorre nella mostra.
Egli adotta un metodo compositivo che, a mo’ di pattern, propaga le onde magnetiche in sequenze modulari e piramidali. L’artista proseguirà nella ricerca sulla luce e sul movimento anche nelle opere successive, come in Linee Spaziali più luce, dove è possibile entrare in contatto con un’articolazione geometrica ancora più evidente, data dallo squadernarsi e il permutarsi di campiture compatte.
Saranno proprio questi risultati che, come racconta l’esposizione di Palazzo del Monte di Pietà, apriranno la strada a successive sperimentazioni cromatiche, cinetiche e percettive di gruppi come Abstraction-Création o il MAC (Movimento Arte Concreta).