MOSTRA IN CORSO

MOSTRA IN CORSO
© Fondation Vasarely, Aix-en-Provence – photo Anne Foures
© Victor Vasarely, by SIAE 2022
Illusione del movimento, giochi cromatici, inganni prospettici, specchi deformanti, effetti ottici… Come un ottovolante, L’occhio in gioco, una mostra che unisce pittura, scultura, fotografia, scienza e tecnologia, vi porterà su e giù, avanti e indietro nel tempo, tra Medioevo e contemporaneità, Picasso e i fratelli Lumière, Kandinskji e Balla, Man Ray e Klee e Boccioni e Duchamp, alla scoperta dei molteplici e affascinanti espedienti, artifici, stratagemmi e giochi di prestigio con cui l’uomo è riuscito a trarre in inganno gli occhi.
Un viaggio caleidoscopico sul confine tra arte e scienza, in una città, Padova, nella quale questi due mondi si sono sempre intrecciati, da Galileo fino alla scuola di psicologia della percezione e alla nascita del Gruppo N, collettivo artistico-culturale patavino all’avanguardia nell’arte ottico-cinetica al quale è dedicata la monografia che conclude una mostra che, in questo modo, si unisce alle celebrazioni per gli 800 anni dell’Università di Padova.
Sono a Padova o a New York? Lo straniamento, le allucinazioni, le vertigini provocati da molte delle opere esposte, potrebbero indurre lo spettatore a porsi una domanda simile visitando una mostra come L’occhio in gioco: volutamente concepita secondo una prospettiva internazionale, infatti, l’esposizione esplora le ricerche artistiche e i tantissimi modi in cui, dal Medioevo a oggi, il senso della vista è stato raggirato, ingannato, illuso. Curata da Luca Massimo Barbero per la parte storica e da Guido Bartorelli, Giovanni Galfano, Andrea Bobbio e Massimo Grassi dell’Università di Padova per la parte dedicata al Gruppo N e alla scuola di psicologia della percezione, la mostra spazia tra pittura, filosofia, scienza, scultura, fotografia, cinema, tecnologia: la scelta di seguire un andamento tematico, piuttosto che cronologico, consente di evidenziare, in ogni sala, i punti di contatto e le similitudini tra epoche diverse, le influenze reciproche tra mondi lontani, le affinità che hanno unito tra loro filosofi, scienziati, artisti.
La prima parte della mostra esplora il rapporto tra colore, percezione e movimento. Si comincia con la rappresentazione del Cosmo tra Medioevo e primo Rinascimento attraverso il ricorso a due elementi cardinali: il colore e il cerchio. Ecco allora cerchi concentrici di diverse cromie, mappe celesti, dello zodiaco, dello spazio e strumenti come le sfere armillari, simbolo del rapporto tra scienza e natura incarnato da Galileo.
Con la sfera, non a caso, si identifica anche il corpo dell’iride: l’occhio protagonista di questa mostra. La sfera ha sempre rappresentato la “forma prima” che ha unito uomini e saperi anche molto lontani nel tempo, ed è per questo che, nel percorso espositivo, è possibile trovare, una accanto all’altra e in dialogo tra loro, sfere armillari e opere di artisti come Konrad Pucher o Tomas Saraceno, i cerchi di Dante e quelli di Klee.
Il secondo nucleo della mostra è dedicato agli studi, tra ‘700 e ‘800, su una nuova idea e teoria del colore e del movimento che avrà ampio sviluppo nel ‘900 grazie alla nascita di nuovi media come fotografia e cinema. Il colore, infatti, occupa un’area di confine tra le arti e le scienze, la fisica e le psicologie: tra i vari testi che lo analizzano, sarà fondamentale quello di Goethe che, con la sua Teoria dei colori, esplorerà gli effetti cromatici sullo spettatore, come ad esempio i “contrasti simultanei”, ottenuti osservando un colore e poi il suo complementare. Teorie poi messe in pratica nella pittura neoimporessionista e puntinista di George Seurat o in una dimensione più esoterica rappresentata da Kandinskij, e a cui si ispireranno anche Rudolf Steiner e Paul Klee.
Catturare il movimento, crearne l’illusione, sono due obiettivi a cui si dedicheranno le avanguardie di inizio ‘900 attraverso accostamenti cromatici, linee forza, scomposizioni e ricomposizioni. Cubismo, futurismo, avanguardie russe, gli studi ottico-cromatici di Michel Chevreul e quelli del Bauhaus: ne nasceranno opere straordinarie, come quelle esposte di Giacomo Balla, Boccioni e Max Bill ma anche di Bruno Munari, Ettore Sottsass, Gio Ponti, senza dimenticare il versante più legato all’astrazione lirica che ebbe, nel Kandinskij di Nodo rosso, uno dei suoi massimi cantori.
A inizio ‘900 il tema del movimento diventa centrale anche grazie alla neonata arte della fotografia (e, di lì a poco, del cinema) e caratterizza le prime sperimentazioni col nuovo mezzo. Le pionieristiche fotografie multiple di Étienne- Jules Marey o Eadweard Muybridge ne sono esempi straordinari, assieme al cinema sperimentale di Hans Richter. E poi le “macchine ottiche”, come la Rotative demisphère di Marcel Duchamp, il movimento nella scultura, con Alexander Calver, Bruno Munari, Jean Tingueley o Alberto Giacometti, o il movimento primitivo del Picasso delle Demoiselles d’Avignon che sembrano voler uscire dalla cornice.
Il movimento non è però solo nell’opera ma anche attorno a essa: con le raffinate anamorfosi, distorsioni prospettiche inventate tra il XVI e il XVII, per la prima volta l’arte invita lo spettatore ad assumere una posizione non frontale. Il movimento, in questo caso, è quello della persona rispetto all’opera, lo spettatore diventa parte attiva del processo di percezione. E allora ecco, ad esempio, opere con superfici cangianti, come lo specchio, “luogo del demonio” qui ripreso da artisti come Luigi Ontani o Anish Kapoor.
Gli anni 60 sono laboratorio dei nuovi orizzonti nell’opera: il monocromo è il punto culminante dello spirito del tempo e dimostra come possa bastare un colore solo per ingannare lo sguardo. Si tende al superamento del concetto di pittura e superficie. Ed è in quest’ottica che si collocano, tra le altre, le opere di Dadamaino, artista capace di muovere lo spazio con i suoi fori nella tela, mirando a ottenere una variazione percettiva, sia ottica che cromatica, grazie alla sovrapposizione di diverse superfici forate che generano trasparenze ed effetti di ambiguità.
La seconda parte della mostra è una monografia che mette in evidenza lo stretto legame tra scienza e arte nella città di Galileo ed è interamente dedicata alla fertile correlazione tra lo studio della percezione, che si andava sviluppando nell’università cittadina dopo la fondazione, nel 1919, del Laboratorio di Psicologia sperimentale, e l’attività artistica di un collettivo di artisti padovani, operante a Padova tra il 1960 e il 1964, e chiamato Gruppo N.
A Padova sia gli psicologi sia gli artisti, infatti, ottennero risultati di rilievo internazionale nello stesso ambito: l’esplorazione dei fenomeni percettivi. Le ricerche degli scienziati (Vittorio Benussi, Cesare Musatti, Fabio Metelli, Gaetano Kanizsa) ebbero infatti un impatto tale da travalicare i confini accademici per stimolare un fermento culturale che portò, tra le altre cose, alla nascita del Gruppo N: Alberto Biasi, Ennio Chiggio, Toni Costa, Edoardo Landi, Manfredo Massironi e, accanto a loro, Marina Apollonio, indagarono la visione servendosi degli effetti ottici e diedero vita alla tendenza artistica che verrà definita optical. La mostra, oltre che le singole opere, ricostruisce anche molti degli “ambienti” che il collettivo allestì per le sue esposizioni, permettendo così allo spettatore di vivere l’esperienza di immergersi nelle opere del Guppo N e sperimentarne, in prima persona, gli effetti stranianti, vertiginosi e stupefacenti.
La mostra, inoltre, non si conclude all’interno di Palazzo del Monte di Pietà ma invade la città con cinque installazioni: una grande spirale di 5 metri di Marina Apollonio troverà collocazione nel cortile antico del Bo; la configurazione circolare, affidata al contrasto di bianco e nero, induce a percepire uno spazio che simultaneamente si espande e contrae, suscitando nel pubblico un lieve senso di vertigine. All’interno del Museo di Storia della Medicina di Padova (MUSME), sarà invece allestita un’opera di Alberto Biasi dal titolo Tu sei, grazie alla quale lo spettatore si troverà al cospetto della moltiplicazione variopinta della propria ombra, divenendo lui stesso protagonista dell’opera. Infine, nella scenografica cornice dell’Orto Botanico di Padova saranno protagoniste le illusioni ottiche create da Edoardo Landi attraverso tre opere: Quadrato Cinevisuale e due Ipercubi virtuali.